L’aggettivo “solenne” viene utilizzato per una gran quantità di eventi, spesso in maniera inappropriata, ma ci sono occasioni in cui essa risulta l’unica parola adatta. Questa mattina è stata una di quelle occasioni: l’accettazione delle dimissione di padre Adolfo Nicolás, il nostro superiore generale. Per me questo momento ha perfino adombrato la pur stupenda e commovente liturgia di apertura di ieri sera, presieduta da padre Bruno Cadoré, maestro generale dei domenicani.
La giornata è iniziata in maniera piuttosto semplice. Dopo aver pregato invocando lo Spirito Santo, abbiamo affrontato le complicazioni dell’apertura della congregazione generale. Questa sessione è stata resa “interessante” dal numero di problemi tecnici che necessariamente capitano al primo utilizzo di nuovi tablet da parte di un gruppo di oltre 200 persone. Nonostante tutti i nostri studi, possiamo ancora essere messi in difficoltà sul fronte della tecnologia. Fortunatamente il buon umore ha abbondato mentre attendavamo che i tecnici facessero funzionare ogni cosa. E l’aula rinnovata nella quale eravamo riuniti ha aiutato a mantenere un atteggiamento positivo. In breve tempo abbiamo dichiarato la congregazione aperta e valida.
Ma il nostro umore è presto mutato, entrando nell’evento storico dell’accoglimento della richiesta di dimissioni di p. Nicolás; si tratta della terza volta in cui una congregazione ha dovuto prendere in considerazione questa possibilità. Il generale ha parlato con il cuore delle ragioni per le quali intende rimettere il proprio mandato, tutte profondamente radicate nel suo desiderio di servire la Compagnia di Gesù e la Chiesa, in ordine a garantire che la Compagnia riceva quella leadership vigorosa che necessita e merita.
Dopo un breve resoconto da parte di uno dei quattro gesuiti incaricati di prendersi cura del padre generale e della Compagnia, i cosiddetti assistenti ad providentiam, tutti noi abbiamo pregato chiedendo il discernimento per approvare la sua richiesta, in modo da votare placet (sì) o non placet. Nell’intera stanza è calato il silenzio; dopo di che, uno alla volta, ci siamo avvicinati a una grande urna per depositare i nostri voti. Non si vedono spesso gesuiti così consapevoli di trovarsi di fronte a un grande evento, ma dopo il voto non c’è stato altro che silenzio, da cui emergeva soltanto l’apprezzamento del profondo significato di questo momento. Contati i voti, si è proclamata la nostra approvazione della richiesta di p. Nicolás. Dopo di che egli è rientrato nell’aula per ricevere la notizia, assieme alla nostra profonda gratitudine e riverenza, espresse da quattro sentite e prolungate ovazioni. Come ha notato uno dei delegati, si è trattato di una delle più potenti espressioni di amore fraterno e rispetto a cui abbiamo mai assistito, qualcosa che vorremmo che tutti i nostri fratelli potessero provare.
È toccato a p. Federico Lombardi, uno degli assistenti ad providentiam, e precedentemente direttore della sala stampa vaticana, esprimere il nostro apprezzamento. Ha compiuto un ottimo lavoro, parlando dei molti modi in cui p. Nicolàs ha svolto così bene il suo servizio nei confronti della Compagnia. Ha ricordato molti traguardi, i molti modi in cui p. Nicolás ha vissuto quello che ci ha augurato p. Cadoré ieri sera: “l’audacia di rischiare l’improbabile”. Durante i suoi otto anni come generale ha combattuto la mediocrità tra i suoi confratelli, richiamandoci ad approfondire la visione della nostra missione e a renderla più universale per servire il nostro Creatore e Signore. Ha saputo creare relazioni cordiali sia con papa Benedetto sia con papa Francesco, un compito non da poco soprattutto nel secondo caso, trattandosi del primo papa gesuita. Durante tutto il tempo, come ha sottolineato p. Lombardi, si è sempre mantenuto piacevole, cordiale, sereno, compassionevole, senza mai mostrarsi triste o arrabbiato. Un degno successore di Sant’Ignazio.
Ora rientra “nei ranghi”, pronto a tornare nelle Filippine, dove il suo provinciale lo ha destinato. Di nuovo, il caloroso applauso che lo ha accolto anche a pranzo mostra che sarà sempre circondato dall’amore, dal rispetto e dalla gratitudine dei suoi confratelli, e di molte altre persone. Si può dire che oggi sia stata una mattina solenne, ma non pesante. Anzi la solennità ha semplicemente rivelato, a noi che eravamo nell’aula (sempre che ci fosse bisogno di rendere manifesto ciò che già lo era) i modi in cui ha saputo toccare le nostre vite, i nostri ministeri, il nostro futuro. La solennità, infatti, può commuovere e rivelare il cuore, e oggi è stato proprio così.
(Traduzione di Paolo Brivio SJ e Fabrizio Natali SJ)