Lunedì 24 ottobre, i delegati della #GC36 hanno incontrato papa Francesco presso l’aula della congregazione secondo la prassi prevista dalla congregazione stessa. E’ un evento che serve per fare memoria di quel legame speciale che lega la Compagnia al capo della Chiesa in virtù del quarto voto – l’obbedienza diretta al sommo pontefice – fortemente voluto da Ignazio e dai primi compagni nel momento della fondazione della Compagnia.
Padre Arturo Sosa Sj, generale neo eletto dei gesuiti, ha dichiarato che “l’incontro con il papa non è soltanto un momento di saluto ai congregati, bensì parte integrante della sessione della congregazione”, ovvero sorgente di ispirazione e discernimento per i delegati che stanno riflettendo sugli orientamenti prossimi della Compagnia universale.
Papa Francesco ha voluto partecipare alla sessione del mattino anche nel momento iniziale della preghiera comune, durante il quale si è ricordato il gesuita olandese Franz van de Lugt – “pastore del suo gregge” – assassinato a Homs in Siria il 7 aprile 2014, essendosi rifiutato di lasciare la città assediata. Ha poi tenuto un discorso indirizzato a tutta la Compagnia, in cui ha esortato i gesuiti a continuare a “camminare insieme – liberi e obbedienti – andando alle periferie dove gli altri non arrivano, «sotto lo sguardo di Gesù e guardando l’orizzonte, che è la Gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta»”, riprendendo gli interventi dei suoi predecessori, Paolo VI e Benedetto XIV, in occasione delle congregazioni 32 e 35.
E per sottolineare il modo in cui la Compagnia è chiamata a camminare, papa Francesco si è soffermato a commentare uno stralcio di una lettera scritta da Ignazio a Borgia a proposito di una critica di due gesuiti “angelici”, Oviedo e Onfroy, che lamentavano il fatto che la Compagnia non era ben istituita nello spirito. Ignazio ribadisce che: “Lo spirito che li guida «ignora lo stato delle cose della Compagnia, che sono in fieri, eccetto il necessario (e) sostanziale»”. Papa Francesco apprezza la libertà di Ignazio: “Mi piace molto questo modo di vedere le cose nel loro divenire, nel loro farsi, eccetto il sostanziale. Perché toglie la Compagnia da tutte le paralisi e la libera da tante velleità”. Il “necessario e sostanziale” della Compagnia è condensato nella sua formula dell’istituto, dove viene continuamente rievoca l’immagine del cammino e del percorso. Questa dinamicità della Compagnia è ciò che permette ad essa di “tenere sempre in conto «i luoghi, i tempi e le persone» e che tutte le regole siano d’aiuto – tanto quanto – per cose concrete”. Solo così il cammino non è un vagare senza meta ma diventa “profitto e progresso, è andare avanti, è fare qualcosa in favore degli altri”. Il giovamento che deriva da questo cammino non è individualistico, bensì comune. Sta in ogni cosa. Ignazio lo esprimeva con dei termini in tensione tra loro per sottolinearne ancora una volta la dinamicità: contemplazione e azione, fede e giustizia, carisma e istituzione, comunità e missione… Il giovamento aspira a un magis, a un di più, a un processo efficace di conversione, che può essere accompagnato, valutato nella sua reale incidenza nella vita delle persone. La chiesa ha bisogno di essere risvegliata e “la Compagnia è fervore”, come affermava Nadal.
Come i gesuiti possono aiutare la Chiesa? Papa Francesco articola tre punti specifici: il ministero della consolazione, lo sguardo della misericordia che nasce dalla Croce e “fare il bene di buon animo sentendo con la Chiesa”, come era solito dire Ignazio.
Riguardo al ministero della consolazione, papa Francesco ricorda che: “la gioia non è un “di più” decorativo, è chiaro indice della grazia: indica che l’amore è attivo, operante, presente” e che quindi non va confuso “con il cercare ‘un effetto speciale’, che la nostra epoca sa produrre per esigenze di consumo”, bensì, al contrario, va riconosciuta nel fatto che permane. Gli esercizi rimangono lo strumento principale per far sperimentare concretamente la consolazione di Dio.
Riguardo allo sguardo di misericordia, papa Francesco rievoca l’esperienza fondamentale degli esercizi: “solo se sperimentiamo questa forza risanatrice nel vivo delle nostre stesse piaghe, come persone e come corpo [comunità], perderemo la paura di lasciarci commuovere dall’immensità della sofferenza dei nostri fratelli e ci lanceremo a camminare pazientemente con la nostra gente, imparando da essa il modo migliore di aiutarla e servirla”.
Il terzo punto riguarda il modo in cui i gesuiti sono chiamati ad agire. “Il servizio del buon animo e del discernimento ci fa essere uomini di Chiesa – non clericali, ma ecclesiali – uomini ‘per gli altri’, senza alcuna cosa propria che isoli ma mettendo in comunione e al servizio tutto ciò che abbiamo”.
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